Ai sensi dell’art. 2120, comma 1, C.c, in ogni caso di cessazione del rapporto, il lavoratore ha diritto ad un trattamento di fine rapporto come disciplinato dalla Legge 297/1982 che dal 1° giugno 1982 ha sostituito l’indennità di anzianità.
Il T.F.R. è un elemento della retribuzione la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro e si calcola con riferimento ad una quota della retribuzione dovuta per ciascun anno (quota di competenza) da assoggettare a rivalutazione annuale secondo un tasso collegato all’andamento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
In applicazione dell’art. 5, comma 1, L. n. 297/1982, per i lavoratori già in forza al 31 maggio 1982, l’indennità di anzianità che sarebbe spettata a quella data viene calcolata sulla base della normativa allora in vigore e si cumula a tutti gli effetti con il trattamento di fine rapporto.
Il trattamento di fine rapporto è dovuto – ex art. 4, comma 4, L. n. 297/1982 – per tutti i rapporti di lavoro subordinato (ivi compresi i contratti a termine, a tempo parziale, di apprendistato e di formazione lavoro) e matura anche durante il periodo di prova.
La retribuzione utile ai fini del T.F.R.
La retribuzione annua, ai fini del calcolo del t.f.r., comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
L’art. 2120, comma 2, cod. civ. precisa che la retribuzione annua da prendere in considerazione ai fini del trattamento di fine rapporto comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con l’esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
I contratti collettivi di lavoro stipulati sia a livello nazionale che aziendale possono derogare all’indicato criterio posto dal legislatore, anche in senso meno favorevole per il lavoratore, indicando gli elementi della retribuzione da assumere come base di calcolo del t.f.r.
Qualora il contratto collettivo preveda deroghe al principio della onnicomprensività delle somme ai fini del calcolo del t.f.r., il datore di lavoro deve rispettarne le previsioni nei confronti di tutti i lavoratori dipendenti (Ministero del Lavoro, interpello n. 43/2008).
Non occasionalità degli emolumenti
Come si è detto, la retribuzione da prendere a base per il computo del trattamento di fine rapporto è costituita da ogni somma corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro “a titolo non occasionale”.
Sulla base di tale norma, è stato ritenuto dalla giurisprudenza che un determinato emolumento sia computabile se:
– dal punto di vista temporale, viene erogato continuativamente, abitualmente, o almeno ricorrentemente;
– dal punto di vista causale, non sia collegato a necessità aziendali contingenti ed episodiche, bensì venga erogato per una ragione strutturalmente connessa all’attività espletata dal lavoratore.
Prestazioni in natura
Nella retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto deve essere ricompreso anche l’equivalente delle prestazioni in natura, da computare secondo i valori convenzionali (art. 2120, comma 2, cod. civ.).
La giurisprudenza prevalente riconosce la computabilità dell’arricchimento derivante al dipendente dall’uso di beni o mezzi aziendali per fini personali oltre che per esigenze aziendali (c.d. fringe benefits): da computare sarà solo il valore dell’utilizzazione del bene o del mezzo fatta dal dipendente per fini personali – che costituisce un effettivo arricchimento per il dipendente stesso – ma non il valore dell’utilizzazione del bene a fini aziendali.
Periodi di retribuzione “figurativa”
Ai sensi dell’art. 2120, comma 3, cod. civ. in caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110 (infortunio, malattia, gravidanza e puerperio) del codice civile, nonchè in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale (sia ordinaria che straordinaria), deve essere computato nella retribuzione utile l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.
Questa disposizione non sembra derogabile (in senso meno favorevole al lavoratore) attraverso i contratti collettivi nazionali e/o aziendali di lavoro che non potrebbero quindi escludere alcune assenze dalla maturazione del trattamento di fine rapporto.
Al riguardo la giurisprudenza:
– ha accolto l’orientamento – che era stato, in passato, contrastato – secondo il quale non può farsi luogo alla suesposta “retribuzione figurativa” per i periodi di chiamata alle armi i quali sono, dunque, irrilevanti ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto;
– ha affermato – superando il precedente contrasto – che i periodi di astensione facoltativa “post partum” della lavoratrice madre sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto.
Accantonamento annuo e rivalutazione
Il t.f.r. si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. In base all’art. 2120, comma 1, cod. civ., l’importo da accantonare annualmente (quota di competenza) si determina dividendo per 13,5 (divisore fisso) la retribuzione considerata utile dalla legge o dai contratti collettivi.
Frazioni di anno
Lo stesso comma stabilisce che la quota annua del trattamento di fine rapporto è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.
Da tale disposizione legislativa deriva – secondo l’orientamento accolto dalla Corte di Cassazione ma avversato da parte della giurisprudenza di merito – che ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto non deve essere computata la retribuzione relativa alle frazioni di mese inferiori a 15 giorni, mentre per le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni occorre computare la retribuzione relativa al mese intero.
Accantonamento del trattamento di fine rapporto per gli operai agricoli a tempo determinato
Per gli operai agricoli a tempo determinato la contrattazione collettiva prevede particolari modalità relativamente:
– alla determinazione dell’ammontare del trattamento di fine rapporto che è pari ad una percentuale calcolata sul salario contrattuale definito dal contratto provinciale;
– alla sua corresponsione che è prevista in forma periodica;
– all’accantonamento presso soggetti terzi (v. per quest’ultimo anche art. 58, comma 12, L. n. 144/1999).
Detrazione del contributo addizionale
Per i lavoratori assicurati obbligatoriamente al Fondo pensioni gestito dall’INPS l’art. 3, comma 16, L. n. 297/1982 prescrive che dall’importo dell’accantonamento annuo deve essere detratta, ove dovuta, una somma corrispondente al contributo aggiuntivo dello 0,50% della retribuzione imponibile ai fini contributivi.
La detrazione può essere operata fino a concorrenza dell’ammontare complessivo dell’accantonamento annuo. La precisazione si rende necessaria in quanto, in taluni casi limite che presentano una retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto notevolmente ridotta o addirittura assente, l’entità della detrazione può superare l’importo dell’accantonamento.
Qualora il trattamento di fine rapporto sia erogato mediante forme previdenziali, la contribuzione aggiuntiva è detratta dal contributo dovuto per il finanziamento del trattamento stesso, il cui importo spettante al lavoratore è corrispondentemente ridotto.
Considerata la formulazione del precetto legislativo il contributo non è dovuto, tra l’altro, per gli apprendisti e per i giovani assunti con contratto di formazione e lavoro cui la legge ricolleghi lo stesso trattamento contributivo degli apprendisti.
Rivalutazione del fondo accantonato
In applicazione dell’art. 2120, commi 4 e 5, cod. civ., l’accantonamento, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Per i rapporti che si risolvono nel corso dell’anno il tasso fisso dell’1,50% viene riproporzionato in ragione dei mesi lavorati (0,125% per ciascun mese).
L’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno precedente.
Se il rapporto di lavoro si risolve entro il giorno 14 viene utilizzato il coefficiente di rivalutazione relativo al mese precedente; se la risoluzione del rapporto interviene invece dopo il giorno 14 dovrà essere utilizzato il tasso di rivalutazione relativo al mese di cessazione.
Conferimento degli accantonamenti t.f.r. ai Fondi pensione e al Fondo di tesoreria INPS
Fino al 31 dicembre 2006 gli accantonamenti di t.f.r. dei lavoratori non iscritti alla previdenza complementare restavano in azienda fino alla cessazione del rapporto di lavoro (salvo le eventuali anticipazioni richieste dal dipendente). Inoltre la gestione del trattamento era completamente demandata al datore di lavoro.
Dal 1° gennaio 2007 il trattamento di fine rapporto ha assunto la finalità prevalente di strumento di finanziamento previdenziale e ciascun lavoratore deve decidere se destinare il proprio TFR da maturare alle forme pensionistiche complementari o mantenere lo stesso presso il datore di lavoro.
Il trattamento di fine rapporto accantonato e non destinato alla previdenza complementare viene gestito con modalità diverse a seconda della dimensione occupazionale dell’azienda:
– nel caso di datori di lavoro che occupano fino a 49 dipendenti la gestione è di completa competenza del datore di lavoro;
– per i datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti, il t.f.r. maturato a partire dal 1° gennaio 2007, che il lavoratore sceglie di mantenere in azienda, deve essere versato dal datore di lavoro al Fondo di tesoreria costituito presso l’INPS.
L’obbligo di versamento del t.f.r. al fondo di tesoreria non sussiste per i lavoratori:
– a tempo determinato con contratto di durata inferiore a 3 mesi;
– a domicilio;
– domestici;
– stagionali del settore agro-alimentare per i quali il termine del rapporto di lavoro è legato al verificarsi di un evento;
– impiegati, quadri e dirigenti del settore agricolo (assicurati per il t.f.r. presso l’ENPAIA);
– per i quali i CCNL prevedono, anche mediante rinvio alla contrattazione di secondo livello, al posto dell’accantonamento la corresponsione periodica delle quote maturate del t.f.r., ovvero l’accantonamento presso soggetti terzi (es. Casse edili).
Con il conferimento del t.f.r. al Fondo di tesoreria INPS, l’onere della rivalutazione del t.f.r. trasferito al Fondo passa in carico all’INPS, ma il datore di lavoro deve comunque provvedere al calcolo annuale.
In caso di conferimento del t.f.r. alla previdenza complementare o al Fondo di tesoreria, a compensazione della perdita della disponibilità del TFR, per i datori di lavoro sono previste le seguenti agevolazioni finanziarie:
– deducibilità dal reddito d’impresa di un importo pari al 4% (6% per le imprese con meno di 50 addetti) dell’ammontare del t.f.r. annualmente destinato alle forme pensionistiche complementari e al Fondo di tesoreria INPS;
– esonero dal versamento del contributo al Fondo di garanzia del t.f.r. nella stessa percentuale del t.f.r. maturando conferito alle forme pensionistiche complementari e al Fondo di tesoreria INPS;
– riduzione del costo del lavoro attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di t.f.r. conferito.
Calcolo del TFT maturato
L’ammontare del t.f.r. maturato è dato dall’importo maturato al 31 dicembre dell’anno precedente, dalla rivalutazione di tale importo e dalla quota di competenza maturata nell’anno appena concluso
L’ammontare del t.f.r. maturato al 31 dicembre di ogni anno deve essere contabilizzato a quella data e comunicato al lavoratore.
L’ammontare del t.f.r. maturato è dato:
– dall’importo maturato al 31 dicembre dell’anno precedente;
– dalla rivalutazione di tale importo;
– dalla quota di competenza maturata nell’anno appena concluso.
Corresponsione
L’art. 2120, comma 1, cod. civ., dispone che al momento della cessazione del rapporto di lavoro l’importo spettante per trattamento di fine rapporto deve essere erogato al lavoratore; tuttavia, il termine di corresponsione del t.f.r. in alcuni casi viene ulteriormente definito dalla contrattazione collettiva.
La Suprema Corte, in una pronuncia (Cass. n. 4822/2002), ha avuto modo di precisare che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere il t.f.r. immediatamente al momento della cessazione del rapporto, indipendentemente dalla disponibilità di tutti gli elementi di calcolo ed in particolare dell’indice ISTAT, altrimenti pagherà sulla somma anche gli interessi e la rivalutazione per ogni giorno di ritardo.
Per il t.f.r. maturato dal 1° gennaio 2007 che i lavoratori delle aziende del settore privato con almeno 50 addetti hanno scelto di lasciare in azienda e non destinare alla previdenza complementare, competente per l’erogazione del trattamento di fine rapporto e relative anticipazioni è il Fondo di tesoreria INPS. Tuttavia, la liquidazione delle prestazioni viene effettuata integralmente dal datore di lavoro, anche per la quota parte di competenza del Fondo (D.M. 30 gennaio 2007; INPS circ. n. 70/2007).
L’importo del t.f.r. è costituito:
– dalla somma complessivamente maturata al 31 dicembre dell’anno precedente;
– dalla rivalutazione di tale somma sulla base del tasso risultante per il mese di cessazione (ovvero per il mese precedente se la cessazione è avvenuta entro il giorno 14);
– dalla quota di competenza maturata dal 1° gennaio al momento della cessazione.
In caso di insolvenza del datore di lavoro il trattamento di fine rapporto è corrisposto, ai sensi dell’art 2, L. n. 297/1982, dal Fondo di garanzia istituito presso l’INPS.
Richiesta di anticipazione del TFR
Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta. Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.
I lavoratori con anzianità di servizio di almeno 8 anni possono chiedere al datore di lavoro un’anticipazione non superiore al 70% del trattamento cui avrebbero diritto in caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta, purchè giustificata dalla necessità di effettuare:
– spese sanitarie per interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche (art. 2120, comma 8, lett. a), cod. civ.);
– l’acquisto della prima casa di abitazione per il richiedente e per i figli (art. 2120, comma 8, lett. b), cod. civ.);
– spese durante i congedi per maternità (art. 5, D.Lgs. n. 151/2001; art. 7, comma 1, L. n. 53/2000);
– spese durante i congedi per la formazione o per la formazione continua (art. 7, comma 1, L. n. 53/2000).
Il datore di lavoro deve soddisfare ogni anno tali richieste nei limiti del 10% dei dipendenti con almeno 8 anni di anzianità e comunque entro il 4% del totale dei dipendenti. L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto (art. 2120, commi 7 e 9, cod. civ.).
Non sono tenute all’anticipazione – ex art. 4, comma 3, L. n. 297/1982 – le aziende dichiarate in crisi ai sensi della L. 12 agosto 1977, n. 675.
Con riferimento al primo motivo ed alla formulazione letterale della disposizione – che fa riferimento a “spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche” – la giurisprudenza ha precisato che:
– la straordinarietà degli interventi va intesa in senso relativo, in modo cioè da far ritenere insufficiente, ai fini dell’anticipazione, la sottoposizione a qualsiasi terapia o intervento, ma, al contrario, non necessaria la riferibilità a terapie ed interventi di notevole rilievo;
– è sufficiente che la documentazione che riconosce la sussistenza del requisito della “straordinarietà” della spesa, sia di sicura provenienza della competente struttura pubblica – desumibile dalla carta intestata e dal timbro – mentre non è necessaria la prova che la sigla di sottoscrizione sia stata posta da un medico.
Secondo la prevalente giurisprudenza non costituisce, invece, un presupposto necessario per il conseguimento del diritto all’anticipazione del t.f.r., la circostanza che il lavoratore potrebbe evitare la spesa affidandosi ai servizi forniti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.
Per quanto concerne la nozione di “acquisto” la Corte Costituzionale, con sentenza 5 aprile 1991, n. 142, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2120, comma 8, lettera b), cod. civ. nella parte in cui non prevede il diritto all’anticipazione del t.f.r. in caso di acquisto “non definitivo” della prima casa.
Per effetto di tale pronuncia si deve ormai ritenere che sussiste il diritto all’anticipazione anche in caso di acquisto “in itinere” come, ad esempio, la partecipazione a cooperativa edilizia, la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita, l’inizio di costruzione di immobile sul proprio terreno.
Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 5 aprile 1991, n. 142, il diritto all’anticipazione sorge anche se documentato con mezzi diversi dall’atto notarile.
In particolare, può essere ritenuta sufficiente la prova della stipulazione di un contratto preliminare di vendita, della partecipazione a cooperativa edilizia, della costruzione dell’immobile sul proprio terreno, ecc.
Resta inteso che le valutazioni sulla serietà, effettività ed idoneità dell’operazione negoziale così documentata, è demandata al prudente apprezzamento del giudice del merito.
Oltre che nelle ipotesi di cui all’art. 2120, comma 8, cod. civ., il trattamento di fine rapporto può essere anticipato, ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi per astensione dal lavoro per maternità e paternità di cui all’art. 32, del D.Lgs. n. 151/2001, nonchè per i congedi per la formazione (art. 5, L. n. 53/2000) e per la formazione continua (art. 6, L. n. 53/2000). L’anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Al trattamento di fine rapporto sono equiparate, ai fini della domanda di anticipazione, le indennità equipollenti comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati.
Il Ministero del Lavoro ha chiarito che a tali fattispecie si applicano i principi generali relativi alle altre forme di anticipazioni del t.f.r. con alcune specificazioni.
In particolare, per quanto riguarda l’anzianità di servizio, il termine di 8 anni deve essere coordinato con quello di 5 anni previsto per la richiesta del congedo per la formazione: qualora il lavoratore abbia maturato detto periodo di servizio per ciò stesso può chiedere il congedo ex art. 5, mentre solo al compimento dell’ottavo anno di servizio matura il diritto alla relativa anticipazione.
Gli unici oneri a carico del lavoratore sembrano quelli di indicare all’atto della richiesta scritta la data di inizio del congedo in ordine al quale la legge riconosce il diritto di richiedere l’anticipo del t.f.r., e di presentare al datore di lavoro tale richiesta nei termini di legge, onde consentire l’anticipazione unitamente all’ultima retribuzione prima dell’inizio del congedo.
Infine, a parere del Ministero, la richiesta economica deve essere commisurata alla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore, salva la facoltà di richiedere un’anticipazione di entità superiore (sempre nel limite del 70% previsto dall’art. 2120 cod. civ.) fornendo la relativa documentazione probatoria (Ministero del Lavoro, circ. 29 novembre 2000, n. 85).
Ai sensi dell’art. 2120, comma 9, cod. civ., l’anticipazione viene detratta dal trattamento di fine rapporto a tutti gli effetti. Il relativo importo non è pertanto soggetto a rivalutazione.
Nell’ipotesi di cui all’art. 2122 del codice civile (decesso del lavoratore) l’anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima (art. 2120, comma 10, cod. civ.).
L’art. 2120 cod. civ., al comma 11, prevede esplicitamente la possibilità di pattuire condizioni di miglior favore sia tramite contratti collettivi, stipulati a livello nazionale o aziendale, sia attraverso accordi individuali.
I contratti collettivi (non gli accordi individuali) possono stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione (art. 2120, comma 11, cod. civ.).
Al riguardo, la giurisprudenza ha ritenuto che, in mancanza di espresse norme contrattuali in materia, il datore di lavoro debba evadere le richieste via via che sono avanzate, secondo un rigoroso criterio cronologico, fino alla concorrenza del numero massimo di beneficiari.
Regime Fiscale – Nozioni generali
Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva.
Ai sensi dell’art. 17, D.P.R. n. 917/1986 (c.d. Testo unico delle imposte sui redditi), il trattamento di fine rapporto non concorre alla formazione del reddito assoggettabile a tassazione ordinaria con le normali aliquote progressive, ma è sottoposto – assieme alle altre indennità assimilate – a tassazione separata, secondo criteri specifici.
Sono state previste distinte modalità di tassazione per le quote annualmente accantonate del t.f.r. e per le rivalutazioni delle quote stesse, nonchè per i relativi acconti e anticipazioni.
Le disposizioni contenute nell’articolo 19 del TUIR così come modificato si applicano alle quote di trattamento di fine rapporto, comprese le relative anticipazioni, e di altre indennità e somme, maturate a decorrere dal 1° gennaio 2001.
Per il t.f.r., comprese le relative anticipazioni, e per le altre indennità e somme, maturati fino al 31 dicembre 2000, continua ad applicarsi la previgente disciplina.
Pertanto, per le erogazioni di somme a titolo di t.f.r. e per le altre indennità e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, il cui diritto alla percezione è sorto entro il 15 gennaio 2001, considerato che non si verifica il presupposto per l’applicazione della nuova disciplina, non maturando ulteriori quote di t.f.r., continuano ad applicarsi le previgenti disposizioni.
Anche per le altre indennità e somme che non sono erogate in connessione alla cessazione del rapporto, le disposizioni di cui all’art. 19 citato si applicano alle quote delle predette indennità e somme che maturano a decorrere dal 1° gennaio 2001 (Agenzia delle Entrate, circ. n. 29/2001).
A norma dell’art. 12, L. 30 aprile 1969, n. 153, il trattamento di fine rapporto non è assoggettabile a contribuzione previdenziale.
L’art. 2, comma 514, della L. n. 244/2007, ha previsto una riduzione del prelievo fiscale sui trattamenti di fine rapporto, sulle indennità equipollenti e sulle altre indennità e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, il cui diritto alla percezione sorga a partire dal 1° aprile 2008. La stessa norma stabilisce che i criteri per attuare la riduzione del prelievo fiscale dovranno essere fissati da un apposito decreto ministeriale da emanare entro il 31 marzo 2008. La tassazione operata dai sostituti d’imposta prima dell’emanazione di detto decreto si considera effettuata a titolo di acconto.
Con D.M. 20 marzo 2008 sono stati previsti tali criteri. In particolare, l’imposta sul reddito delle persone fisiche ex art. 19 del TUIR, sul trattamento di fine rapporto e sulle indennità equipollenti di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del medesimo TUIR, è ridotta di un importo pari a:
– 70 euro se il reddito di riferimento non supera 7.500 euro;
– 50 euro, aumentato del prodotto fra 20 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 28.000 euro, diminuito del reddito di riferimento, e 20.500 euro, se l’ammontare del reddito di riferimento è superiore a 7.500 euro ma non a 28.000 euro;
– 50 euro, se il reddito di riferimento è superiore a 28.000 euro ma non a 30.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 30.000 euro, diminuito del reddito di riferimento, e l’importo di 2.000 euro.
Per reddito di riferimento si intende il reddito teorico medio determinato, sulla base della durata complessiva del rapporto di lavoro, ai sensi del citato art. 19 del TUIR, ai fini dell’individuazione dell’aliquota di tassazione del trattamento di fine rapporto e delle indennità equipollenti.
La detrazione in argomento riduce l’imposta dovuta sulle altre indennità e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del TUIR, eventualmente erogate, nella sola ipotesi di integrale destinazione del trattamento di fine rapporto alle forme di previdenza complementare di cui al D.Lgs. n. 252/2005 ed è riconosciuta dai sostituti d’imposta in relazione ad una sola cessazione del rapporto di lavoro nel corso di ciascun periodo d’imposta.
Il Ministero delle finanze, con circolare 5 febbraio 1986, n. 2, ha precisato che ai fini della tassazione separata sono considerate indennità di fine rapporto:
– il trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato e le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata del rapporto di lavoro;
– le indennità e le somme commisurate alla durata del rapporto, corrisposte in occasione della cessazione dei rapporti relativi: 1. ai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca, che percepiscano salari entro i limiti correnti maggiorati del 20%; 2. ai sacerdoti; 3. ai membri del Parlamento nazionale ed europeo; 4. ai soggetti che ricoprono cariche elettive o funzionali presso le regioni, le province ed i comuni; 5. ai membri della Corte Costituzionale;
– le indennità indicate nei primi due punti corrisposte, in caso di morte del lavoratore dipendente in costanza del rapporto di lavoro, al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo;
– le altre indennità e le somme percepite “una tantum” in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro subordinato;
– le somme corrisposte, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, a seguito di patto di non concorrenza;
– l’indennità di mancato preavviso (v. anche M.F. riss. n. 8/1289/1976; n. 8/1383/1977);
– le somme corrisposte al lavoratore licenziato o dimissionario a titolo di liberalità per consuetudine o altra ragione, in eccedenza rispetto alla disciplina legale o contrattuale;
– i premi di prepensionamento;
– le somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi a seguito del ritardato pagamento del t.f.r.;
– le indennità integrative del t.f.r. corrisposte da fondi, casse o gestioni speciali.
Appartengono alla categoria in esame, e sono quindi soggette a tassazione separata, le indennità di fine rapporto di lavoro dipendente corrisposte a soggetti non residenti in Italia dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Il sistema di tassazione separata si applica indipendentemente dalla durata del rapporto di lavoro, e quindi anche alle indennità corrisposte per rapporti di durata inferiore all’anno.
Sono invece tassati come retribuzione corrente, ad esempio:
– i ratei di premi aziendali o di anzianità;
– i ratei di mensilità aggiuntive o di altri compensi della stessa natura corrisposti alla cessazione del rapporto di lavoro;
– i compensi per ferie maturate e non fruite corrisposti in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro;
– le somme che il lavoratore percepisce, nel caso di trasferimento d’azienda, a titolo di rinuncia al vincolo di solidarietà tra cedente e cessionario ex art. 2112, comma 2, cod. civ., nonché a titolo di transazione novativa, non verificandosi, in tale ipotesi, la cessazione del rapporto di lavoro (Ag. Entr. ris. n. 135/E/2009).
Si segnala inoltre che ai sensi dell’art. 24, comma 31 del D.L. n. 2011/2011, sulle indennità di fine rapporto di importo complessivamente superiore a euro 1.000.000,00, il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011, l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali, è determinata – in deroga ai criteri indicati nell’articolo 19 del testo unico n. 917 del 1986 – applicando le aliquote IRPEF per scaglioni di reddito ordinarie. Le medesime disposizioni si applicano alle anticipazioni ed agli acconti di importo complessivamente superiore a euro 1.000.000,00.
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Fonte: www.lavorofisco.it
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