Per la Cassazione l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento è possibile solo quando si è nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza.
IL CASO
La Corte d’Appello accoglieva la domanda dell’INPS ed, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda proposta dal sig. X intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità di accompagnamento richiesta in sede amministrativa il 15 gennaio 2001 ed al pagamento dei corrispondenti ratei. Rilevava che il CTU aveva accertato, al pari della Commissione Medica, una invalidità del 100% in ultrasessantacinquenne con difficoltà persistenti a compiere gli atti e le funzioni della sua età e che tale condizione era presente sin dall’epoca della presentazione dell’istanza, ma aveva escluso che il periziato fosse incapace di deambulare autonomamente, senza il costante aiuto altrui, e di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita, sicchè correttamente il primo giudice aveva escluso il riconoscimento del beneficio.
Osservava la Corte che l’indennità di accompagnamento era disciplinata dalla L. 18/1980, che prescriveva i due requisiti menzionati, e che il D.Lgs. 509/1988, art. 6, non era intervenuto su quella normativa, bensì sull’altra che regolava l’invalidità civile, apportando una modifica con riferimento ai soggetti ultrasessantacinquenni, in considerazione del fatto che chi aveva più di 65 anni rientrava nell’area della pensione di vecchiaia, per cui non poteva per esso parlarsi di capacità lavorativa, e dovendo, nell’ambito di tale categoria di assistiti, considerarsi mutilati ed invalidi coloro che avessero difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, analogamente che per i minori di 18 anni. Per tali soggetti il legislatore aveva sostituto il requisito della incapacità lavorativa con quello, più appropriato, della difficoltà suddetta e pertanto il requisito sostituito non era quello della incapacità di deambulare o di svolgere gli atti quotidiani, che rimaneva inalterato e necessario anche per la indicata categoria di assistiti.
X ha proposto ricorso in Cassazione, che è stato rigettato, sulla base del principio che le condizioni previste dall’art. 1 legge n. 18/1980 (come modificato dall’art. 1, comma 2, legge n. 508/1988) per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza. Ai fini della valutazione non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana.
Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiché l’art. 6 d.lgs. n. 509/1988 (che ha aggiunto il comma 3 all’art. 2, legge n. 118 del 1971), lungi dal configurare un’autonoma ipotesi di attribuzione dell’indennità, pone solo le condizioni perché detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi – in analogia a quanto disposto per i minori di anni 18 dall’art. 2, comma 2, legge n. 118 del 1971 nel testo originario – non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacità lavorativa.
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Fonte: www.fiscoetasse.com
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