La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15188 del 18 giugno 2013 interviene in materia di riscossione in particolare sull’emissione della cartella di pagamento in seguito alla comunicazione di cui all’art. 36 36 bis del dpr n.600/1973 o 54 bis del dpr n.633/1972.

Gli Ermellini hanno statuito che “la cartella di pagamento costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere adeguatamente motivata, nonché della puntualizzazione desumibile dal principio, successivamente affermato, secondo cui “La cartella esattoriale deve contenere indicazioni sufficienti a consentire alla contribuente l’agevole identificazione della causale delle somme pretese dall’Amministrazione Finanziaria ed erroneamente il Giudice di merito afferma < l’equipollenza tra la corretta indicazione di tali elementi nell’atto impugnato e la conoscenza che, di fatto, di essi abbia avuto il contribuente>, giacché nessuna equipollenza assume rilievo, essendo piuttosto necessario il corretto adempimento dell’obbligo di motivazione del ruolo e della cartella” (Cass. N.11466/2011).”

Nel caso di specie si è avuto una contrapposizione tra l’Agenzia delle Entrate e una società sulla“carenza di motivazione” della cartella di pagamento, carenza rilevata dai giudici tributari, tanto da condurli a dichiarare “la nullità dell’atto”.

La carenza della motivazione, alla luce di quanto sopra scritto, viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, considerano acclarate le lacune nel “contenuto motivazionale della cartella”, evidenziandone il peso, in negativo per il Fisco. E questa omessa comunicazione non può essere resa meno rilevante da una presunta “conoscenza di fatto”, da parte del contribuente, degli elementi centrali della “cartella di pagamento”.